STABILE ORGANIZZAZIONE SECONDO MODELLI INTERNAZIONALI DI TIPO CONVENZIONALE

 

 

 

 

 

 

 

 

1.      Criteri OCSE ed ONU di definizione della stabile organizzazione

 

L'importanza di definire il concetto di "stabile organizzazione" è determinata dall'esigenza di determinare con esattezza il luogo ove il reddito prodotto debba essere assoggettato a tassazione. Infatti, sia per le stabili organizzazioni all'estero di soggetti residenti che per quelle di non residenti si pone il problema della corretta imputazione - alla casa madre e alla stabile organizzazione - delle componenti di reddito comuni. La scelta di operare in un mercato straniero comporta numerose valutazioni: il rischio Paese, le opportunità di investimento, la pressione fiscale.

 

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Aspetto strettamente legato, anzi conseguenziale a quest'ultimo, è quello della valutazione della struttura da impiantare. Le alternative che si pongono all'imprenditore sono le seguenti:

-          una controllata (subsidiary);

-          una filiale (branch);

-          un ufficio di rappresentanza;

-          una rete di agenti indipendenti.

 

 

 

 

 

La controllata è una entità completamente distinta dalla struttura originaria, dotata di una sua completa autonomia giuridica, costituita e controllata dalla società madre. La filiale è una sede secondaria con rappresentanza stabile ma priva di autonomia giuridica. Il risultato che questa struttura conseguirà sarà evidenziato in una contabilità separata da quella della casa madre. L'ufficio di rappresentanza ha unicamente funzioni preparatorie o ausiliarie (attività promozionale, di ricerca, ecc.) e non configura l'esistenza di una stabile organizzazione, a meno che la normativa dei singoli Paesi non lo preveda espressamente. La rete di agenti indipendenti non è mai configurabile come stabile organizzazione in quanto gli agenti sono del tutto autonomi nei confronti della società per la quale operano.

 

Le linee guida per arrivare ad una definizione di stabile organizzazione sono state tracciate da due modelli elaborati dall'OCSE (Organizzazione per lo Sviluppo Economico) e dall'ONU (Organizzazione per le Nazioni Unite). Con il termine "stabile organizzazione" l'art. 5 del modello OCSE identifica, in via generale, una "sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attività". Due sono, quindi, gli elementi caratteristici:

- I'esistenza di una installazione fissa in senso tecnico (locali, materiali, attrezzature);

- lo svolgimento, per mezzo di tale struttura, di una attività economica.

 

Va notato che il semplice acquisto di un immobile da parte di una società estera non è di per sé idoneo a configurare l'esistenza di una stabile organizzazione ma occorre l'effettiva costituzione di un'autonoma e funzionale struttura nazionale rispetto alla società estera. L'autonomia, inoltre, deve manifestarsi sia sul piano gestionale che su quello contabile. In ogni caso la stabile organizzazione avrà valenza ai fini fiscali solo dal momento in cui l'impresa inizierà a svolgere la sua attività "in maniera continuativa" usando la sede fissa e non prima. Il modello OCSE, oltre a fornire una definizione generale del concetto, elenca anche particolari fattispecie specifiche che danno luogo comunque ad una stabile organizzazione. Si tratta di sedi di direzioni, di succursali, uffici, officine, laboratori, miniere, cave o altri luoghi di montaggio, quali ad esempio i cantieri. Si è in presenza di una stabile organizzazione anche quando, pur mancando l'installazione fissa, l'imprenditore straniero si serva di persone che svolgano l'attività in suo nome disponendo ed esercitando abitualmente il potere di concludere contratti in nome e per conto dell'impresa.

 

D'altro canto, la definizione del concetto di stabile organizzazione predisposta dal modello ONU è diretta a rispondere in maniera più efficace alle esigenze dei Paesi in via di sviluppo nei loro rapporti economici con i Paesi più progrediti. Una significativa differenza è quella relativa all'agente indipendente. Esso prevede che "qualora le attività di tale agente siano compiute interamente o quasi interamente in nome e per conto di detta impresa, egli non dovrà essere considerato come un agente avente uno status indipendente nel senso indicato nel presente paragrafo".

 

 

2.      Carenze legislative in Italia e interpretazione italiana dei modelli OCSE ed ONU

 

Non esiste una definizione di stabile organizzazione comunemente accettata dalle autorità fiscali di tutti i Paesi, o comunque oggettivamente individuabile attraverso parametri certi e predefiniti.

 

Ciò tuttavia non toglie che l’individuazione di un concetto di stabile organizzazione rivesta un’importanza fondamentale, sia per il contribuente che per l’amministrazione finanziaria. L’importanza di definire univocamente il concetto di stabile organizzazione risiede infatti nell’esigenza di determinare con esattezza se e dove il reddito prodotto debba essere assoggettato ad imposizione.

 

In tal senso è opportuno specificare che le due forme organizzative, "branch" e società di capitali residente, attraverso le quali una società estera può essere presente in un Paese diverso da quello di domiciliazione sono regolamentate dalle differenti normative nazionali in modo assai vario sia sotto il profilo civilistico che dal punto di vista strettamente fiscale.

 

A questo proposito è necessario sottolineare che, solitamente, le diverse normative vigenti nei Paesi maggiormente industrializzati mentre individuano con esattezza le possibili strutture societarie attraverso le quali è possibile svolgere un’attività imprenditoriale non forniscono di contro una definizione precisa e circostanziata di "stabile organizzazione", ossia della forma organizzativa che una filiale di una casa madre straniera di consueto assume. Di conseguenza l’unico punto di riferimento in materia è dato dalle Convenzioni contro le doppie imposizioni che, come noto, assumono forza di legge con la loro ratifica ed esecuzione.

 

Italia

L’atteggiamento assunto dall’Amministrazione Finanziaria italiana, che si è da tempo resa conto della mancanza di una specifica normativa in materia di stabile organizzazione, è quello della Circolare n. 7/1496 del 30 aprile 1977, la quale testualmente afferma che "...per quanto concerne l’individuazione dell’esistenza di una stabile organizzazione si rileva che, in mancanza di una definizione legislativa, occorre far riferimento all’unica fonte disponibile in materia, emergente proprio dagli accordi internazionali per l’eliminazione della doppia imposizione".

 

In tal senso la maggior parte delle Convenzioni contro le doppie imposizioni stabilisce che per "stabile organizzazione" si intende una sede fissa d’affari in cui un’impresa esercita in tutto o in parte la propria attività ricomprendendo in particolare una sede di direzione, una succursale o un ufficio.

 

In altre parole si è in presenza di una stabile organizzazione sia quando le situazioni di fatto denotano inequivocabilmente il fine dell’investitore di esercitare nel Paese un’attività imprenditoriale sia quando l’attività svolta è caratterizzata, oltre che dal collegamento non occasionale con luoghi del territorio del Paese e con persone ivi operanti, anche dall’effettivo impiego di beni ed attività lavorative coordinati per la produzione e lo scambio di beni o servizi e da un’effettiva anche se limitata autonomia funzionale.

 

 

Nell'ordinamento italiano la definizione di "stabile organizzazione" è, appunto, contenuta nella circolare ministeriale n. 7/1496 del 30/4/1977, che recepisce integralmente il dettato del modello OCSE. La principale differenza nei trattati sottoscritti dall'Italia rispetto al modello OCSE riguarda gli agenti indipendenti relativamente ai quali è previsto che una persona che agisce in uno Stato contraente per conto di un'impresa dell'altro Stato contraente, diversa da un'agente indipendente, è considerata stabile organizzazione nel primo Stato se dispone nello Stato stesso di poteri che esercita abitualmente e che le permettono di concludere contratti a nome dell'impresa.

 

Guardando, ora, all'operatore italiano che desideri investire all'estero: qualora egli operi senza stabile organizzazione il reddito derivante da tale attività si considera prodotto in Italia, e quivi viene assoggettato a tassazione anche a carattere locale (in precedenza ILOR), a norma dell'art. 112 del T.U.I.R. n. 917/86.

Qualora, invece il reddito sia prodotto mediante una stabile organizzazione all'estero dell'impresa italiana, il reddito prodotto sarà assoggettato ad imposizione all'estero ed all'atto del suo trasferimento in Italia troveranno applicazione le convenzioni contro le doppie imposizioni, ed il credito d'imposta di cui all'art. 15 de T.U.I.R. n. 917/86.

 

Qualora sia invece una impresa straniera ad investire in Italia sarà necessario preliminarmente verificare se anche qui la suddetta impresa operi o meno con una stabile organizzazione ed in questo caso ai sensi dell'art. 20 lettera e) del D.P.R. 917/86 saranno soggetti ad imposizione in Italia quei redditi che derivano dallo svolgimento nel nostro Paese di una attività imprenditoriale mediante una stabile organizzazione.

Nel caso in cui si abbia una presenza in Italia di più stabili organizzazioni appartenenti ad un medesimo ente non residente, secondo la circolare 7/1496 del 30/4/1977, il domicilio fiscale dovrà essere individuato con riferimento ad una qualsiasi delle stabili organizzazioni o sedi secondarie, senza che debba darsi necessariamente rilevanza al luogo ove esiste la stabile organizzazione che produce il reddito più alto. In ogni caso le società estere, ai sensi dell'art. 14 del D.P.R. 600 del 29/9/1973, sono tenute a predisporre una situazione economica tale da consentire la determinazione del reddito imponibile.

 

Nelle legislazioni interne di alcuni Paesi, tra cui l'Italia, è codificato il principio della "forza attrattiva" della stabile organizzazione per il quale i redditi prodotti in un Paese, anche se diversi ed assolutamente indipendenti da quelli prodotti dalla stabile organizzazione, verranno ugualmente tassati in capo a quest'ultima.

Al fine di favorire gli scambi commerciali tra i Paesi, le convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni consentono, attraverso l'apposizione di una specifica clausola derogatoria, I'eliminazione del principio della "forza attrattiva" della stabile organizzazione. E' evidente quindi che vi sono moltissime variabili che possono influenzare il trattamento fiscale dei redditi prodotti sia in territorio nazionale che estero e che solo tramite una attenta pianificazione fiscale è possibile alleggerire il carico tributario complessivo.

 

 

 

 

La soluzione del problema come confronto tra il principio base (generalmente invalso all'estero) noto come "principio di attrazione" e le presunzioni del modello OCSE

 

Il "principio di attrazione"  di una filiale nel concetto di stabile organizzazione tassabile trova la sua ragion d’essere in un assunto di base incontestabile: il reddito che viene prodotto nell’ambito territoriale del Paese che ospita la "branch" e che può essere presumibilmente ricondotto, in base alla cosiddetta "forza di attrazione", all’attività imprenditoriale da questa svolta deve essere senza ombra di dubbio assoggettato ad imposizione nel Paese ospitante secondo la legislazione fiscale ivi vigente.

 

In altre parole, secondo anche una prassi oramai consolidata, quando si parla di "principio di attrazione" e della connessa "forza di attrazione" si intende la capacità attrattiva che la stabile organizzazione esercita sui redditi prodotti nel Paese "ospitante" dalla casa madre estera in base a determinate norme di attribuzione; ed è proprio in virtù di tali norme di attribuzione che la stabile organizzazione esercita la propria forza di attrazione che, di per sé, costituisce il criterio di collegamento sul quale si fonda la potestà impositiva da parte dello Stato.

 

In base a tale principio quindi tutti i redditi "presumibilmente riconducibili" all’attività svolta da una stabile organizzazione di una società estera vengono assoggettati ad imposizione nel Paese di produzione; il reale pericolo, nella maggioranza dei casi, è rappresentato dalla difficoltà oggettiva di determinare con esattezza la quota parte di reddito attribuibile all’attività svolta dalla stabile organizzazione. Fatto questo che non consente alla casa madre estera di determinare a priori gli oneri fiscali gravanti sull’attività imprenditoriale esercitata in Italia.

 

Tuttavia, opera in contrario il sistema di definizioni e di presunzioni del modello OCSE di stabile organizzazione. Come anche esposto in precedenza, qualora la filiale venga costituita al solo scopo di svolgere delle ricerche di mercato ovvero al fine di raccogliere informazioni utili ad un futuro approccio al mercato straniero da parte della casa madre, la filiale stessa non potrà in alcun modo essere considerata come una stabile organizzazione della casa madre estera a patto che però tra i due Paesi interessati sia stata sottoscritta una Convenzione contro le doppie imposizioni e che il Trattato stesso sia stato predisposto in conformità con lo schema OCSE.

 

Di nuovo occorre ricordare, come anche esposto in precedenza, che secondo l’art. 5, 4° comma del Modello OCSE infatti "..non si considera che vi sia una stabile organizzazione se:

 

a) si fa uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di merci appartenenti all’impresa;

 

b) le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinate ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;

 

c) le merci appartenenti all’impresa sono immagazzinate ai soli fini della trasformazione da parte di un’altra impresa;

 

d) una sede fissa d’affari è utilizzata ai soli fini di acquistare merci o di raccogliere informazioni per l’impresa;

 

e) una sede fissa d’affari è utilizzata per l’impresa ai soli fini di pubblicità, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche e di attività analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliario".

 

Appare quindi evidente come qualora l’attività svolta dalla filiale nel proprio Paese di residenza sia funzionalmente limitata alla promozione dei beni prodotti dalla propria casa madre, non esistano i presupposti per identificare in detta filiale una stabile organizzazione della società madre.

 

 

E’ vero infatti che se da una parte la linea di confine che demarca l’esistenza o meno di una stabile organizzazione in territorio straniero è tutt’altro che definita, o comunque definibile secondo criteri oggettivi, dall’altra determinate forme organizzative, quali ad esempio un ufficio di rappresentanza o un’installazione fissa in senso tecnico (locali, materiali ed attrezzature), che ad una prima analisi verrebbero senza ombra di dubbio fatte rientrare nella definizione di stabile organizzazione in realtà non rappresentano, né possono in alcun modo essere considerate, stabili organizzazioni della società estera.

 

In tal senso è opportuno specificare che, anche nel caso in cui si abbia una "rappresentanza", ad esempio una persona dotata dei poteri necessari per impegnare la società madre estera nei confronti dei terzi, non è configurabile l’esistenza di una "stabile organizzazione"; anzi è forse più corretto il contrario e cioè che alcune sedi secondarie con rappresentanza stabile non vengano considerate stabili organizzazioni. Ed ancora; non dà luogo all’insorgere di una stabile organizzazione la presenza di intermediari che godono di uno status indipendente (mediatori e commissionari in genere) e che agiscono nel quadro ordinario della loro attività come rappresentanti non esclusivi dell’impresa.

 

 

Articoli e norme di riferimento

 

 

 

L’art. 5 del modello OCSE statuisce per esteso :

          1. Ai fini della presente convenzione, l'espressione "stabile organizzazione" designa una sede fissa di affari in cui l'impresa esercita in tutto o in parte la sua attivita`.

         

          2. L'espressione "stabile organizzazione" comprende in particolare:

          a) una sede di direzione;

          b) una succursale;

          c) un ufficio;

          d) un'officina:

          e) un laboratorio;

          f) una miniera, un pozzo di petrolio o di gas, una cava o altro luogo di estrazione di risorse naturali;

         

          3. Un cantiere di costruzione o di montaggio è considerato stabile organizzazione solamente se ha una  durata superiore ai dodici mesi.

 

          4. Nonostante le precedenti disposizioni di questo articolo, non si considera che vi sia una "stabile organizzazione" se:

          a) si fa uso di una installazione ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna di merci appartenenti alla impresa;

          b) le merci appartenenti all'impresa sono immagazzinate ai soli fini di deposito, di esposizione o di consegna;

          c) le merci appartenenti all'impresa sono immagazzinate ai soli fini della trasformazione da parte di un'altra impresa;

          d) una sede fissa di affari e` utilizzata ai soli fini di acquistare merci o di raccogliere informazioni per la impresa;

          e) una sede fissa di affari e` utilizzata, per l'impresa, ai soli fini di pubblicita`, di fornire informazioni, di ricerche scientifiche o di attivita` analoghe che abbiano carattere preparatorio o ausiliare per l’impresa.

          f) una sede fissa di affari è utilizzata unicamente per qualsiasi combinazione delle attività citate ai paragrafi da a) a e), purchè l’attività della sede fissa nel suo insieme, quale risulta da tale combinazione, sia di carattere preparatorio o ausiliare.

 

          5. Nonostante le disposizioni dei paragrafi 1 e 2, quando una persona diversa da un agente che goda di uno status indipendente, cui si applichi il paragrafo 6 agisce per conto di un'impresa oppure abitualmente esercita in uno Stato contraente il potere di concludere contratti a nome dell'impresa, si può ritenere che l’impresa abbia una stabile organizzazione in detto Stato in relazione ad ogni attivita` intrapresa dalla suddetta persona per l'impresa, a meno che l’attivita` di tale persona sia limitata all’attività citata  al precedente paragrafo 4 che, se esercitata a mezzo di una sede fissa di affari, non farebbe di tale sede fissa di affari una stabile organizzazione ai sensi delle disposizioni di detto paragrafo.

 

          6. Non si considera che un'impresa di uno Stato contraente abbia una stabile organizzazione nell'altro Stato contraente per il solo fatto che essa eserciti in detto Stato la propria attivita` per mezzo di un mediatore, di un commissionario generale o di un qualsiasi altro intermediario che goda di uno status indipendente, a condizione che dette persone agiscano nell'ambito della loro ordinaria attivita`.

 

            7. Il fatto che una societa` residente in uno Stato contraente controlli una societa` residente nell'altro Stato contraente o sia da questa controllata, ovvero svolga attivita` in questo altro Stato (a mezzo di una stabile organizzazione oppure no) non costituisce di per se` motivo sufficiente per far considerare una qualsiasi delle dette societa` una stabile organizzazione dell'altra.

 

 

L'art. 7 della Convenzione Modello OCSE fissa la regola generale per l'imposizione degli utili di impresa: "Gli utili di una impresa di uno Stato contraente sono imponibili solo in detto Stato, a meno che l'impresa non svolga la sua attività nell'altro Stato Contraente per mezzo di una stabile organizzazione ivi situata.

 

Se l'impresa svolge attività come avanti detto, gli utili dell'impresa sono imponibili nell'altro Stato, ma soltanto nella misura in cui sono imponibili alla stabile organizzazione".

 

Notazioni di dottrina

 

Con riferimento all'ordinamento giuridico italiano, è noto che né il vigente t.u.i.r., né la normativa iva, contengono una definizione legislativa del concetto di stabile organizzazione. Per contro, già da tempo la dottrina ha ricostruito detta nozione partendo dalla definizione offerta dalla Convenzione Modello OCSE; a sostegno di tale orientamento dottrinale ha successivamente preso posizione la stessa Amministrazione finanziaria  e, dopo qualche tentennamento, la giurisprudenza . Siffatta definizione assurge, in definitiva, al rango di "principio generale", sulla base del quale viene ad essere delineata l'interpretazione della normativa interna.

 

I requisiti per la sussistenza di una stabile organizzazione vengono, pertanto, individuati nei seguenti elementi:

 

a) l'esistenza nello Stato di un centro di imputazione di situazioni giuridiche (definito sovente come "installazione"), costituito da elementi materiali (ad esempio i locali in cui si esercita l'impresa, oppure un deposito) e personali (dipendenti); si vedrà più avanti che proprio la questione se detta "installazione" possa sostanziarsi esclusivamente in elementi materiali, in grado di funzionare senza la necessità della contemporanea presenza sul territorio dello Stato di alcun dipendente, costituisca uno dei punti più controversi in materia di disciplina tributaria del commercio elettronico;

 

b) la stabilità di tale installazione, che deve prestarsi ad una utilizzazione durevole e non occasionale (si noti, peraltro, che in dottrina taluni danno di tale elemento una lettura anche in termini di luogo);

 

c) la connessione della stessa all'esercizio normale dell'impresa;

 

d) la sua "idoneità produttiva". Detto requisito è, peraltro, stato interpretato dalla dottrina prevalente come idoneità della stabile organizzazione a produrre reddito "di per sé", "indipendentemente" dall'attività svolta dall'impresa non residente . Ci si dovrà quindi domandare se una tale idoneità sia riscontrabile, per esempio, in un server predisposto e collocato in Italia da un'impresa straniera, che lo abbia previamente programmato e che ne controlli il funzionamento a distanza (e ugualmente ci si può chiedere se un impresa italiana che abbia collocato un siffatto server in territorio straniero possa ragionevolmente considerare il medesimo alla stregua di una stabile organizzazione, cui imputare i proventi derivanti dalla commercializzazione di beni e servizi attraverso il server stesso).