JOINT VENTURE IN INDIA

 

 

Le joint ventures sono esentate dall'applicazione della Section 3(3) del Competition Act, se ed in quanto si tratti di accordi destinati ad aumentare l'efficienza nella produzione, fornitura, distribuzione, acquisizione, magazzinaggio o controllo di merci o distribuzione di servizi. Ciò peraltro non esclude la possibilità di verifiche da parte della CCI con riguardo a specifiche joint ventures ed all'attività da esse posta in essere.

 

 

 

 

 


Normativa degli investimenti esteri

 

Vi è una classe borghese con una consistenza di oltre 300 milioni di persone.

Non è più necessaria una licenza industriale specifica , salvo il rispetto di alcune guidelines normative.

Per investimenti superiori al plafond delle guidelines, è però indispensabile l'approvazione preventiva del Foreign Investment Promotion Board, un organo specifico creato in seno al Ministero dell'Industria. I disposti del Foreign Exchange Regulation Act (FERA) e del Foreign Exchange Management Act (FEMA) sono chiamati a disciplinare gli investimenti esteri in India.

 

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Restano in ogni caso applicabili alla filiale di società estera le medesime restrizioni valutarie cui è assoggetto l'investitore estero in caso di investimenti diretti. Beneficiano di un'approvazione automatica anche i pagamenti di lump sum forfetarie per il trasferimento di tecnologia sino alla somma massima di 2 milioni di dollari.

 

 

Esiste una elite dell'imprenditoria indiana, raggruppata intorno al cosiddetto "Bombay Club", che ha visto gli investimenti esteri concentrarsi nei settori infrastrutturali, con particolare riguardo ai comparti dell'energia e telecomunicazioni, e che limita il controllo delle joint venture da parte di operatori stranieri.

Sotto il profilo dei veicoli attraverso i quali strutturare l'investimento il tema cruciale è e resta quello delle joint ventures, struttura che anche nel contesto indiano ha mostrato una certa difficoltà a decollare.

La verità è che spesso i partners indiani non hanno effettuato gli apporti di capitale a suo tempo concordati, obbligando l'investitore estero ad effettuare investimenti ed apporti maggiori di quelli attesi e contrattualmente dovuti. Un'altra criticità che il passato recente evidenzia è lo scarso apporto, inferiore di gran lunga alle attese, che il partner locale è andato a fornire in termine di conoscenze di mercato, gestione delle risorse umane e competenze e conoscenza sul contesto paese.

 

La conseguenza pressoché costante è stata quella di forzare i partner esteri o a costituire una nuova società, visto il cattivo funzionamento della collaborazione, o ad accrescere la propria quota di controllo.

 

Si arrivò allora nel 1998 ad una svolta normativa, che impose, attraverso un provvedimento del Ministero dell'Industria, a tutte le società estere che avevano una partecipazione in una joint venture o un contratto di licenza di marchio o know-how, o di trasferimento di tecnologia in essere con un partner locale, di ottenere la previa approvazione da parte del Foreign Investment Promotion Board (FIPB) presso il Ministero dell'Industria nell'ipotesi volessero avviare una nuova attività, da soli o in partnership, nel paese. Si trattava di porre un freno alla fuga dalle collaborazioni in essere, ponendo sulle spalle dell'investitore estero l'onere di provare che l'avvio di una nuova collaborazione non avrebbe in alcun modo pregiudicato la collaborazione già in essere (Ministry of Industry, Dept. of Industrial Policy & Promotion, Press Note No. 18 (1998 Series)). Ciò si traduceva in pratica nella necessità di ottenere un "No Objection Certificate" dal partner indiano e dalla joint venture esistente a tutte le nuove iniziative di investimento avviate dall'investitore estero in India.

 

Ne conseguiva che l'essere entrati in una joint venture in India o anche il solo aver incautamente concesso una licenza di marchio ad un partner locale implicava vincoli pesantissimi; era infatti nella discrezionalità del partner indiano lo stabilire se l'investitore estero avrebbe potuto oppure no effettuare altre attività nel paese.

L'avvento del "No Objection Certificate" ha implicato l'adozione di veicoli di investimento a minor tasso di rischio, quali il ricorso a filiali interamente possedute, il cui utilizzo è ammesso per la maggior parte delle attività. La società holding locale che investa in una filiale in India è tenuta infatti soltanto ad effettuare a posteriori una notifica al "Secretariat for Industrial Assistance" nei 30 giorni successivi all'investimento medesimo (Ministry of Industry, Dept. of Industrial Policy & Promotion, Press Note No. 9 (1999 Series)).

 

 

 

Rimpatrio investimento e royalties

 

Gli investimenti esteri sono riconosciuti come liberamente rimpatriabili.

Non solo le restrizioni ad investitori esteri in partnership esistenti si è fatta stringente; analogo destino hanno infatti subito le norme in materia di pagamento di royalties. Per tutti gli anni '90 i pagamenti di royalties sino al 5% per il fatturato realizzato in India e sino all'8% per il fatturato all'export godevano di un'approvazione automatica per una data di sette anni dall'avvio in produzione e commercializzazione nel paese, ovvero 10 anni dalla firma del contratto. E ciò a valere su tutti i contratti di trasferimento di tecnologia, di licenza di marchio e di franchising. A partire dal 2000 questa soglia di esenzione automatica si applica solo a royalties non superiori all'1% sul fatturato realizzato in India ed al 2% sul fatturato all'export, a meno che non vi sia un trasferimento di tecnologia (Ministry of Industry, Dept. of Industrial Policy & Promotion, Press Note No. 9 (2000 Series)). Ciò significa che il franchisor o il licenziatario di un marchio dovrà accontentarsi di royalties non superiori rispettivamente all'1 o 2%, fatta salva l'ipotesi che l'operazione implichi un trasferimento di tecnologia (ovvero venga effettuata dalla filiale indiana a beneficio di una società controllante offshore).

 

 

 

Licenze

 

Le riforme economiche avviate dal 1991 in poi hanno poi condotto a porre fine al regime di licenze pubbliche ad operare nel comparto industriale ("License Raj"), sostituite dalla compilazione di un "Industrial Entrepreneurs Memorandum" indirizzato al Ministero dell'Industria. Oggi le sole attività industriali che ancora richiedono il previo rilascio di licenza per effettuare attività industriali sono rappresentate da:

- attività riservate a società pubbliche (nel comparto dell'energia nucleare e del trasporto ferroviario);

- "small scale industries" con fatturato inferiore ai 10 milioni di Rupie;

- restrizioni locali, legate ad attività industriali (esclusa elettronica ed informatica) allocate a meno di 25 chilometri da città con più di 1 milione di abitanti.

- attività specifiche quali (i) distillazione di alcolici; (ii) tabacco; (iii) industria avionica; (iv) industria chimica, limitatamente a materiali pericolosi per la salute; (v) farmaceutici; (vi) esplosivi.

Nelle "small scale industies" la partecipazione del socio estero non può superare il 24%; peraltro dal 1991 ad oggi gli originari 600 settori di attività si sono ridotti a (i) pollicoltura; (ii) industria alimentare, relativamente a coltivazione e commercializzazione di spezie, tapioca, sesamo ed alla produzione e commercializzazione di gelati, biscotti e pasticceria, alimentari in scatola e sciroppi sintetici.

 

 

 

Tassazione delle persone giuridiche

 

Il sistema fiscale prevede due distinte autorità impositive, il Governo Centrale che opera la tassazione diretta e i singoli Stati che hanno essi pure capacità impositiva, limitatamente a state sales tax ed entry tax. Gli impegni assunti dall'India verso la World Trade Organisation hanno condotto ad una riduzione della tassazione, in linea con quanto sta avvenendo per i dazi doganali.

Le persone giuridiche sono considerate residenti se nell'anno fiscale di competenza la loro gestione e controllo era allocato in India. Le società estere, incluse quelle che operano in India attraverso filiali, sono assoggettate a tassazione con aliquota più elevata. Le società locali ("domestic companies") scontano un'aliquota del 35%, mentre quelle estere ("foreign companies") un'aliquota del 40%. I capital gains per investimenti a lungo termine sono tassati con aliquota unica del 20%.

In aggiunta alle aliquote base sono applicabili alle società altre tipologie di imposte, di seguito individuate.

 

Minimum Alternative Tax (MAT)

La MAT è l'imposta minima che il soggetto giuridico residente è chiamato a versare nel caso in cui il reddito imponibile sia inferiore al 7,5% dei profitti registrati, con un'imposta pari in tal caso al 7,5% dell'utile e la possibilità di beneficiare di un credito d'imposta da compensare con le imposte dovute nel quinquennio successivo.

 

Distribution Tax sui dividendi

Le "domestic companies" pagano un'imposta addizionale sui dividendi pagati o distribuiti con aliquota del 12.5%, aumentata del 2.5%; il pagamento ritardato dell'imposta comporta l'applicazione di interessi al tasso del 1.25% mensile e con applicazione, per il mancato pagamento, di una sanzione pari all'imposta non versata.

 

Tassazione delle Foreign Companies

Le società estere hanno un imponibile in India di norma rappresentato dalle seguenti fonti di reddito:

- reddito derivante dal trasferimento di tecnologia (royalties o lump sum);

- fees per servizi tecnici resi in India ed all'estero;

- pagamenti per forniture e

- dividendi su azioni di joint ventures indiane.

 

 

Normativa societaria

 

La normativa societaria indiana si rifà al Companies Act 1956, che è stato aggiornato nel 2002 (Second Amendment) prevedendo tra l'altro l'istituzione di un organo giurisdizionale specializzato, il National Company Law Tribunal ("NCTL"), cui doveva essere affidata in luogo della High Court la giurisdizione su controversie societarie e fallimentari. Tuttavia detto disposto e la successiva costituzione del NCTL, con nomina dei relativi magistrati, è stato ritenuto incostituzionale dalla High Court di Madras con una decisione resa il 30 marzo 2004 ed attualmente oggetto di appello presso la Corte Suprema (Madras Bar Association v Union of India, resident R. Gandhi, W.P. 2198/2003 del 30 marzo 2004).

La legge indiana prevede l'esistenza di società sia a responsabilità limitata che illimitata. Nella società a responsabilità limitata la responsabilità del socio è limitata ai conferimenti e le "limited liabilities companies" rappresentano la regola per l'esercizio di attività commerciali ed imprenditoriali in genere in India, a maggior ragione se svolte da un investitore estero.

Esistono due tipologie di "limited companies", vale a dire società per azioni ("limited by shares") e società a responsabilità limitata con garanzia dei soci ("companies limited by guarantee"), dove le limitazioni della responsabilità dei soci sono contenute in statuto. La tipologia maggiormente utilizzata è quella delle società per azioni, a loro volte classificate in diritto indiano come "private companies" e "public companies". L'investitore estero può poi aprire uffici di rappresentanza ("liaison offices") in India per effettuare attività promozionali, ma non tali da realizzare profitti nel paese e concretare un permanente stabilimento; le relative attività devono essere finanziate unicamente attraverso una dotazione finanziaria messa a disposizione su un conto in valuta alimentato dall'investitore estero. Possono essere aperte anche delle filiali, che possono operare come agenti per la casa madre per effettuare ricerche di mercato, vendite ed acquisti nel Paese ed effettuare attività commerciali di import export. Sia i "liaison offices" che le filiali non hanno soggettività giuridica e sono assoggettati per la loro costituzione ad approvazione da parte della Reserve Bank of India. Le filiali debbono tuttavia sottostare a taluni disposti del Companies Act, 1956 ed il profitto da esse realizzato è tassato con aliquota più elevata di quella adottata per le società locali; esse vanno registrate presso il registro società di New Dehli entro 30 giorni dall'apertura di una sede in India.

 

Private Companies

Il Companies Act, 1956 stabilisce che una "private company" (Section 3 (1) (iii)) necessiti di un numero di soci che va da un minimo di 2 ad un massimo di 50. Lo statuto prevede limitazioni nel diritto a trasferire le azioni e non prevede una pubblicità dei dati economici e di bilancio, con forti temperamenti ed esclusioni nell'applicazione di disposti del Companies Act.

 

Public Companies

La "public company" necessita di almeno 7 soci e statutariamente non può essere imposta limitazione di sorta al libero trasferimento delle azioni; l'inserimento di siffatte limitazioni all'interno dello statuto porta infatti ad una loro conversione in "private company" (Section 43A). Dette società possono aprire sottoscrizioni pubbliche di capitale, quotandosi se del caso in Borsa.

 

 

Sistema fiscale

Disciplina delle società straniere

 

Il Trattato Bilaterale con Mauritius offre una significativa riduzione della withholding tax per società costituite sull'isola, che non pagano tasse sui capital gains ed hanno un'aliquota sulla tassazione dei dividendi ridotta al 5%; inoltre le società incorporate a Mauritius possono optare per un regime off-shore che non le assoggetta a tassazione a Mauritius. Può pertanto essere interessante operare in India per il tramite di una controllante sita a Mauritius.

Esiste un trattato contro le doppie imposizioni con l’Italia.